Emilio Abruzzese: “Il nuovo art. 20 del T.U.R.: la certezza del diritto per ora (forse) rimane una chimera – parte 2

Emilio Abruzzese: “Il nuovo art. 20 del T.U.R.: la certezza del diritto per ora (forse) rimane una chimera – parte 2

A cura di Emilio Abruzzese

Con la legge di bilancio 2018, il legislatore è intervenuto su tale articolo. In questa lunga analisi vengono espresse e chiarite le modifiche apportate. parte 2.

Continuo articolo:

Siamo tutti (tutti?) a celebrare l’auspicata modifica dell’art. 20 del TUR, dopo anni di incertezze, sopravvenuti convincimenti provvisoriamente definitivi, oscillazioni fra l’economico e il giuridico, fra l’elusione e l’abuso del diritto, innocenti evasionidi Battistianamemoria, fattispecie sanzionate o meno.

Insomma dal 1862 la modifica dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 è l’intervento più invasivo che si sia avuto, sul punto. Sarà vera gloria? Lo scopriremo solo realizzando le operazioni straordinarie e sottoscrivendo contratti, in attesa delle reazioni della Pubblica Amministrazione e – nel caso – delle conseguenti prese di posizione delle Corti di merito e, soprattutto, della Corte di Cassazione.

Per il momento ci si conceda, a caldo e ragionando “di pancia”, qualche dubbio, qualche scetticismo e qualche perplessità: tali ultimi sentimenti sono ovviamente figli di una constatazione.

La norma sull’interpretazione degli atti nell’imposta di registro è (stata) sostanzialmente una delle più stabili che si sia avuta. Se si confrontano i quattro testi che si sono succeduti dal 1862 al 31 dicembre 2017 si può notare che essi sono rimasti sostanzialmente immutati, salvo quanto appresso indicato[20].

Il grande evento lo si ebbe nel 1972, quando fu (finalmente) esplicitato che si dovesse avere riguardo agli effetti giuridici e non a quelli economici.

Leggere, dopo 45 anni, quanto (giustamente) scrisse allora Assonime induce a pessimismo e scetticismo per il futuro[21].

Tali sentimenti negativi aumentano se si guarda a quanto scrisse la Corte di Cassazione nel 1917[22]: ebbene sì, è proprio il 1917, non si tratta di un errore di battitura.

Dicevo, prima, della mutevolezza della giurisprudenza, ferma (quasi) restando la situazione normativa. Mutevolezza della sopravvivenza o reviviscenza delle interpretazioni che affermano la preminenza degli effetti economici: non si era detto(finalmente) nel 1972 che dovessero essere quelli giuridici? Tant’è.

Anticipate un pò di conclusioni, e armato di dovuto ottimismo, faccio un passo indietro, per cercare di spiegare a me stesso cosa può accadere con le modifiche che appresso andrò a illustrare.

Il lettore di questo articolo, che si spera sia paziente, ha sicuramente piena cognizione delle evo-involuzioni delle interpretazioni, e darò quindi per scontata la loro conoscenza.

Per leggere meglio nella sfera di cristallo, non si può però fare a meno di scendere sul campo pratico delle rivisitazioni avutesi “nel nome” dell’art. 20, in gergo bellico, quindi disporre the boots on the ground.

***

Tanto (forse, troppo) si è parlato di conferimento, seguito dalla cessione della partecipazione riveniente dal conferimento.

Quest’articolata operazione, benedetta dalle imposte dirette e negletta ai fini dell’imposta di registro dalle interpretazioni dell’Agenzia delle entrate e severamente censurata dalla Corte di Cassazione (al grido di…elusione! Lesione della Costituzione! etc.) è stata quella più in augenelle discussioni nelle Commissioni tributarie, nelle Agenzie delle entrate e nei convegni[23].

In questi ultimi anni vincere nelle Commissioni di merito dava lo stesso sollievo e la stessa soddisfazione di cui poté godere Pirro vincendo ad Eraclea e ad Ascoli Satriano. In fondo al tunnel, la Cassazione[24].

Talmente di moda l’operazione di conferimento piùcessione, nel bene e nel male, che pare avere – essa sola – guidato la mano al legislatore della legge di bilancio 2018 dello Stato, per porvi rimedio, come ad illudere che questa sia la sola tipologia delle operazioni o contratti “riqualificati” dall’Agenzia delle entrate, ma soprattutto dalla Suprema Corte.

Non è così, ovviamente. L’elenco delle vittime “dell’arma art. 20” è lungo e variegato e non tutte hanno avuto il risalto mediatico del conferimento seguito da cessione delle partecipazioni; le altre, sono vittime di serie B.

Se la fantasia degli elusori e degli “illusori[25] è sconfinata, altrettanto lo è quella del fisco esorcista.

Un caso abbastanza emblematico è quello della contrattualistica afferente la realizzazione di pale eoliche. Per realizzare pale eoliche, oltre alle indispensabili autorizzazioni amministrative, occorre avere un terreno sul quale edificare le pale e un altro, ben più esteso, sul quale poter movimentare mezzi e materiale, da non destinare ad altre attività incompatibili col produttore di energia da vento.

Dovendo edificare su una minima parte, è necessario o acquisire la piena proprietà di una frazione di un terreno o, per durata predeterminata, il suo diritto di superficie. Occorre però che si abbia anche la disponibilità del terreno limitrofo, per consentire la movimentazione di mezzi, anche per la manutenzione, oltre che per impedire, pure per esigenze di sicurezza, che sullo stesso terreno si realizzino delle attività incompatibili con quella di produzione di energia, derivante dal movimento delle stesse pale.

Per tale motivo, correlatamente alla costituzione del diritto di superficie (per la parte strettamente necessaria all’edificazione della pala), veniva stipulato un contratto di locazione del terreno.

Sulla scorta di interpretazioni che richiamano l’art 20 del TUR, ma nel contempo affermano una motivazione antielusiva, l’Agenzia delle entrate ha riqualificato il contratto di locazione del terreno, con ciò azzerandolo come tale, e accumulando il corrispettivo complessivo di tutta la durata del contratto (riqualificato) al corrispettivo pattuito per la costituzione del diritto di superficie. Operazione, quest’ultima, comportante ovviamente un’aliquota notevolmente superiore[26].

La scelta dell’Agenzia di riqualificare il contratto di locazione richiamando l’art. 20 del TUR è particolare, perché con ciò ha preteso di tassare come costituzione di diritto di superficie un corrispettivo pagato per la locazione di un terreno sul quale non si può costruire nulla e, se lo si facesse, la proprietà del fabbricato spetterebbe per accessione al locatore.

Sarebbe stato forse più comprensibile se l’Agenzia delle entrate avesse cercato di rettificare il valore del diritto di superficie, piuttosto che attribuire al locatario un diritto di superficie inesistente, ovviamente non trascrivibile in catasto[27]. Ciò nonostante, nel caso di specie, l’Agenzia ha recuperato anche le imposte ipotecarie e catastali.

Tale considerazione parrebbe rafforzata con la nuova normativa, per la sopraggiunta impossibilità, per normativa sostanziale, di collegare fra loro più atti.

Come già precisato, la casistica nettamente più ricorrente[28] è stata ed è quella del conferimento d’azienda, seguito da cessione della partecipazione, ed è quella che presumibilmente più ha guidato il legislatore nel rettificare l’art. 20 del TUR[29].

Tali riqualificazioni hanno comportato anche problematiche sulla competenza territoriale dell’Ufficio accertatore, ove si fossero avuti due differenti Uffici competenti, per la registrazione dei due atti in successione[30].

Tali operazioni articolate saranno salvate dal rischio di riqualificazione ex art. 20, ma rimangono comunque a rischio di accertamento per effetto dell’art. 10-bis.

Relativamente allo schema “conferimento d’azienda, seguito da cessione di partecipazioni”, ricordo anche il particolare caso, ottimamente raccontato da L. Rossi e A. Porro nel loro articolo recentemente pubblicato su questa rivista, e riguardante un’articolata operazione di conferimento d’azienda, concernente la gestione di gallerie commerciali, e la successiva cessione ad una società di gestione del risparmio, delle quote della Newco conferitaria dei rami d’azienda commerciali, nonché degli immobili (gallerie commerciali con i relativi negozi).[31]

Una terza tipologia di operazioni riqualificate invocando l’art. 20 del TUR, a volte in chiave anti elusiva, a volte no, è quella delle c.d. “cessioni spezzatino”, vale a dire le cessioni operate non nel formale contesto di una cessione d’azienda[32].

A tale proposito la casistica è la più variegata: si sono viste cessioni “spacchettate”, nessuna delle quali trattata come cessione d’azienda, cessioni di rami d’azienda con correlata separata cessione di beni, cessioni multiplenello stesso atto o in atti diversi, altre volte di cessioni anche operate dopo un lungo periodo, rispetto alla vera e propria cessione d’azienda, e annesse “d’ufficio” alla cessione “madre” etc.

Si sono viste riqualificazioni anche con cessioni distanziate fra loro di due o più anni, e anche di soli macchinari. Riqualificazioni con effetti devastanti, per la combinata richiesta di maggiore imposta di registro e di indetraibilità dell’IVA in capo al cessionario, con tanto di sanzioni. Fattispecie sanzionata nelle stesse misure previste per l’utilizzo di fatture emesse per operazioni inesistenti.

Se le cessioni frazionate sono in unico atto pare trattarsi, anche con la novella norma, di corretta qualificazione dell’atto stesso ex art. 20. Ove si abbiano più cessioni frazionate contestuali, mai qualificate come cessione di ramo aziendale, si potrà probabilmente accedere alla procedura ex art. 10-bis,ma sia in questo caso che nelle cessioni “separate” da formali atti di cessione d’azienda la norma applicabile, a rigore, non potrebbe essere l’art. 20, perché quel che si va a riqualificare è per definizione un atto non portato alla registrazione [33]/[34].

Bisognerebbe però rammentare che non sempre applicare l’IVA in luogo dell’imposta di registro può essere più conveniente fiscalmente, ove si abbiano problemi di detraibilità dell’IVA o più prosaici problemi di carattere finanziario[35]. Si tenga anche conto che a volte la dissimulazione di una cessione d’azienda è causata (sempre in maniera illegittima, s’intende) dal voler eludere norme di diritto del lavoro[36], o comportanti responsabilità solidali “civilistiche[37] o fiscali[38].

Altro caso particolare è stato quello della ricomprensione, nell’alveo di una dichiarata cessione d’azienda, della contestuale cessione di un immobile strumentale ad una società di leasing, con conduttore lo stesso soggetto cessionario dell’azienda[39]. Anche in questo caso, l’Ufficio ha richiamato l’art. 20 in chiave antielusiva, come a significare che pure in materia di registro si dovesse applicare un principio di prevalenza di sostanza su forma ex IFRS sui contratti di leasing.

Con la nuova formulazione dell’art. 20 ciò non sarebbe potuto accadere.

L’Agenzia delle entrate avrebbe potuto tentare di accertare solo mediante la dimostrazione di un piano elusivo, ritengo però con scarsi risultati, visto che ex art. 10-bis, ferma restando la necessità di raggiungimento di un obiettivo economico-aziendale, non è censurabile percorrere la via teoricamente meno onerosa fiscalmente.

Poi c’è la casistica dei conferimenti di immobili gravati da passività, con la decurtazione di quest’ultima, dal valore da tassare ai fini dell’imposta di registro, che è stata contestata talvolta sotto il profilo dell’inerenza e altre sotto quello dell’elusività.

Altro caso ricorrente è quello della cessione di immobili da demolire, la cui riqualificazione riguarda soprattutto le imposte sul reddito, per attrarre a tassazione il reddito diverso[40].

Per tali fattispecie, a fronte di quanto asserito dalla stessa Agenzia in materia di IVA[41]/[42], nel senso della prevalenza del dato formale catastale, si sono avute riqualificazioni ai fini delle imposte dirette, con giurisprudenza prevalentemente pro-contribuenti, nonché ai fini dell’imposta di registro, con conclusioni soprattutto pro-fisco[43].

Qui si tratta chiaramente di corretta qualificazione giuridica dell’atto, con sostanziale sopraggiunta impossibilità, per l’Ufficio, di riferirsi ad elementi extratestuali.

Andando avanti, si ha notizia anche di casi estremi, quali quello della riqualificazione come cessione d’azienda, di un singolo impianto, non accompagnato da altri beni materiali, né immateriali, neppure da debiti, crediti o personale[44].

In tale ipotesi, si ha uno stravolgimento della nozione di ramo d’azienda ex art. 2555 c.c.: un bene diventa “un complesso di beni”? Ciò, anche se non accompagnato da altri beni materiali e immateriali e/o da dipendenti[45]?

Per l’effetto, se vale tale principio, ove vi sia un accollo di debito (inerente) quest’ultimo è passività deducibileai fini del registro?

Non ci vuole molto per comprendere gli assurdi rischi di accertamento ai fini IVA per omessa fatturazione[46], in caso di auto-qualificazione, da parte del cedente, come cessione di ramo d’azienda della cessione di un singolo impianto! Chi così temerario da applicarla, sol che si pensi alle sanzioni per omessa fatturazione ai fini IVA, etc., e alle sanzioni penali in caso di eventuale superamento dei parametri ex legge ……..2000, n. 74?

Ancora, abbiamo il caso della cessione del 100% del capitale sociale di una società, riqualificata come cessione d’azienda, in base all’asserita equipollenza degli effetti (sic!)[47].

Con ciò, di fatto si fa confusione fra beni di primo (azienda) e di secondo grado (quote); inoltre, così ragionando, il socio diventa imprenditore “diretto” dell’azienda[48]/[49]!

Di fatto, è un’interpretazione con la quale si abroga implicitamente l’art. 11 della Tariffa (tassa fissa per la cessione delle quote)[50]/[51]!

Il caso in esame dovrebbe essere, per il futuro, risolto nel senso dell’illegittimità della riqualificazione, stante la precisazione contenuta nella relazione accompagnatoria alla legge di bilancio 2018.

Come ultimo esempio, nella casistica di riqualificazioni in esame, sta la cessione del 100% del capitale sociale di una società, poi incorporata mediante fusione nella società acquirente, articolata come operazione poi riqualificata come cessione d’azienda. Con ciò coinvolgendo anche il cedente, che non è certo parte coinvolta nella successiva fase di LBO.

Tali eventuali casi dovrebbero essere risolti con salvezza dell’operato del cedente, che non può essere più censurato ex art. 20 del TUR, ma nemmeno ex art. 10-bis, essendo ovviamente estraneo alla successiva operazione di fusione mediante incorporazione della società ceduta.

***

Una piccola parentesi riguardante gli interpelli.

Nella parte che precede, si evince come la casistica sia variegata e i dubbi molteplici a maggior ragione se il principale strumento scardina-effetti giuridici dell’atto, così come rimasto o attribuito all’Amministrazione finanziaria, sarà costituito dall’art. 10-bis.

Tale articolo prevede un richiamo alla panaceadegli interpelli, che però ritengo che non possano dissolvere tutti i dubbi.

L’interpello citato dall’art. 10-bis è quello ex lett. c)dell’art. 11 della legge n. 212/2000 (“interpello anti abuso[52]), ma in molta casistica, quel che è da chiarire, è da chiarire con l’interpello ex lett. a)dello stesso art. 11 (“interpello qualificatorio[53]): è quindi possibile che un “interpelloanti abuso” presupponga (o contestualmente contenga) un “interpello qualificatorio[54].

Bisogna però stare attenti ed evitare le bucce di banana: “l’interpello qualificatorio, al pari dell’interpello ordinario, non può comunque avere ad oggetto accertamenti di tipo tecnico. Non potrà quindi correttamente qualificarsi istanza di interpello, quella tesa ad accertamenti di fatto esperibili esclusivamente nelle sedi proprie”[55]. Sono esclusi “gli accertamenti di tipo tecnico”. Vi potrebbe quindi essere il rischio di irricevibilità dell’interpello nella sua parte “qualificatoria”.

Rischio d’irricevibilità dell’interpello qualificatoriosussistente anche nel caso di esistente consolidata prassi (la norma presuppone la sussistenza di condizioni di obiettiva incertezza).

Arriviamo ad alcuni dubbi da dissipare e alle (mie) conclusioni.

A proposito di sanzioni, come si può conciliare l’inapplicabilità delle sanzioni (amministrative) ex art. 20 del TUR e la valenza procedurale del “nuovo” art. 53-bis, applicabile, dal 1° gennaio 2018, anche alle fattispecie ante 1° gennaio 2018, che le renderebbe applicabili?

Viene meno il “favor rei[56]?

Fuori dal coro, ritengo che si sarebbe dovuto preservare la correttezza delle operazioni “articolate” (ad esempio, conferimento + cessione di partecipazioni; cessione di partecipazioni + fusione per incorporazione), garantendo la legittimità delle stesse, correttezza che invece rimane a grave repentaglio con l’art. 10-bis.

Inoltre convengo con quanto lucidamente scritto nella sentenza sopra citata della Corte di Cassazione del 1917: se ex legesi impedisce all’Amministrazione finanziaria di riferirsi, nell’interpretazione dell’atto, ad altra documentazione ufficiale o rinvenuta in occasione di verifiche, si toglie alla stessa la possibilità di far prevalere la sostanza (sia pur giuridica) sulla forma.

Ciò anche perché non sempre può essere d’ausilio l’eccezione di elusività.

Va da sé che agli interpreti deve essere consentita anche una terza via, che prescinda dalla letterale interpretazione dell’art. 20 e dalla necessitata raffigurazione elusiva ex art. 10-bis.

Pur dovendo parlare di cronaca, mi pare giusto concludere con le parole di Jammarino in un suo scritto del 1959, che difficilmente si possono non condividere[57].

Sperando di sbagliare la previsione, devo concludere che ci renderemo presto conto che si è persa un’ottima occasione per fare chiarezza in questa materia, anche perché la Corte di Cassazione ci ha abituato ad avere delle interpretazioni adattative alle mutate norme, per convogliarle su immanenti principi che trascendono le norme specifiche.

Se così non fosse, perché siamo stati costretti ancora ad affermare la necessaria prevalenza degli effetti giuridici dell’atto, dopo più di quarant’anni da quando tale principio fu scritto nell’art. 19 del D.P.R. n. 634/1972? Oppure costretti a cercare di difendere la scelta dell’operazione meno onerosa fiscalmente[58], dopo l’introduzione nel 1997 dell’art. 37-bisdel D.P.R. n. 600/1973 (poi abrogato), con relazione esplicativa che affermava la liceità di scelta fra operazioni aventi un diverso carico fiscale?

***. ***

[20] Art. 7 della legge 21 aprile 1862, n. 585: “La tassa è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti degli atti e dei trasferimenti e non secondo la forma apparente“.

  • 8 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269: “Le tasse sono applicate secondo l’intrinseca natura e gli effettidei trasferimenti,se anche non vi corrisponda il titolo e la forma apparente“.
  • 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634:«Le imposte sono applicate secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».
  • 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131: «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».

[21] Circ. Assonime 12 marzo 1973, n. 48 (in Boll. Trib., 1973, 1043): “Ai fini della determinazione del contenuto dell’atto resta fermo il principio già affermato dall’art. 8 della precedente legge secondo cui si ha riguardo agli effetti del medesimo prescindendo dal titolo o dalla sua forma apparente, si precisa quindi, per troncare qualsiasi incertezza (sic!)e recependo una ormai ferma giurisprudenza (sic-bis!), che gli effetti che caratterizzano l’atto ai fini dell’imposta di registro sono quelli giuridicie non quelli economici”.

[22] Ved. Cass. 14 aprile 1917, in Boll. uff. tasse, 1918, 264:“Vietare in questo caso alla Finanza di esaminare anche gli atti precedenti significherebbe vietarledi conoscere quali siano i veri rapporti giuridici risultanti dal contenuto dell’atto da registrare negandosi così ogni pratica efficacia al precetto dell’art. 6 (ora 8) della legge di registro. La intrinseca natura dell’atto, in questo caso, è determinata dal documento presentato alla registrazione in correlazione a tutti i documenti da esso richiamati, perché tutti necessari per la ricostruzione del rapporto giuridico che vi è dichiarato”.

[23] Cfr. Cass., sez. trib., 29 aprile 2015, n. 8655; Cass., sez. trib., 15 ottobre 2014, n. 21770; Cass. n. 5877/2014, cit.; e Cass., sez. trib., 24 novembre 2017, n. 28064, tutte in Boll. Trib. On-line.

[24] Si rinvia a A. Sbroiavacca, Ancora sulle operazioni di conferimento d’azienda e successiva cessione dell’intera partecipazione sociale emessa a fronte del conferimento: annotazioni critiche sulla riqualificazione di tali operazioni come cessioni d’azienda agli effetti dell’imposta di registro, in Boll. Trib., 2017, 1498.

[25] Forse il termine illusori più si attaglia a coloro che “dicono di fare una cosa, ma ne fanno un’altra”.

[26] 15% se agricolo, invece dello 0,50%.

[27] Cfr. Comm. trib. reg. della Calabria, sez. I, pronunciata il26 giugno 2017, n. 1936, dep. 26/6/2017 (non edita) che rigetta l’appello del contribuente, con la seguente “motivazione”: “… volendo entrare nel merito, si consideri che … l’ente impositore ha agito ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. 131/1986 che consente di riqualificare l’atto quando, come nel caso di specie, la qualificazione formale non è veridica rispetto alla causa e quindi tende all’elusione fiscale”; peraltro il fatto che sul terreno oggetto di formale affitto ovviamente non si possa edificare non è nemmeno stato preso in considerazione dalla sopracitata Commissione di merito.

[28] Per tale motivo qui mi diffondo poco, sulla più che nota querelle.

[29] Ved. Cass. n. 8655/2015, cit.; Cass. n. 21770/2014, cit.; Cass. n. 5877/2014, cit.; e Cass. n. 28064/2017, cit., anche in caso di cessione parziale delle stesse partecipazioni! Contra: Comm. trib. prov. di Bologna, sez. XVII, 6 ottobre 2014, n. 1338; Comm. trib. prov. di Bologna, sez. XI, 3 novembre 2014, n. 1456, ………..; e Cass., sez. trib., 27 gennaio 2017, n. 2054, in Boll. Trib. On-line.

[30] Cfr. Cass., sez. trib., 5 aprile 2017, n. 8792 (in Boll. Trib. On-line): “Nel caso in cui gli Uffici che hanno registrato i singoli atti fra loro “concatenati” siano diversi, l’Agenzia delle entrate può liquidare l’imposta complementare di registro a seguito di riqualificazione per collegamento negoziale di pluralità di atti fra loro connessi (art. 20, T.U.R.), senza che sussista alcun vincolo di competenza territoriale a favore dell’Ufficio che ha registrato l’ultimo atto della sequenza”.

[31] Boll. Trib. d’Inf., n. 4/2018, pag.265.

[32] Ex multis, Cass., sez. trib., 11 giugno 2007, n. 13580; Cass., sez. VI, 21 marzo 2014, ord. n. 6811; e Cass., sez. trib., 5 aprile 2017, n. 8793, tutte in Boll. Trib. On-line.

[33] Ritengo inapplicabile l’art. 10-bisse si restringe l’analisi alla prima definizione della inesistenza di sostanza economica(“I fatti, gli atti e i contratti, anche fra loro collegati, idonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”); sì all’art. 10-bis, se si guarda alla “non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico nel loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato”. Se così fosse si avrebbero tutte le tutele che ne conseguono e l’inapplicabilità delle sanzioni penali (ferme restando quelle amministrative).

[34] In realtà, l’acclarata “cessione spezzatino” (se palese e quasi contestuale), non è elusionebensì evasioneche può portarsi con sé anche altri scopi illegittimi (aggiramento dell’art. 2560 c.c. sulla responsabilità solidale nei debiti della cedente, non trasferiti alla cessionaria; aggiramento dell’art. 2112 c.c. sui rapporti di lavoro; aggiramento della responsabilità solidale nei carichi fiscali, etc.). Operazione accertabile anche in base all’art. 15, primo comma, lett d), del TUR: registrazioni d’ufficio dei contratti verbali di trasferimento d’azienda, laddove la loro esistenza risulti da presunzioni gravi, precise e concordanti.

[35] Ad esempio, se si cedono assets e passività inerenti, il differenziale da assoggettare ad imposta di registro potrebbe risultare in termini finanziari meno oneroso di un’anticipazione di IVA.

[36] Art. 2112 c.c.

[37] Art. 2560 c.c.

[38] Art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

[39] Comm. trib. reg. dell’Emilia Romagna, sez. VIII, 20 ottobre 2017, dep. il 27 novembre 2017 n. 3202, (non edita)  (che respinge l’appello dell’Ufficio).

[40] Art. 67, primo comma, lett b): “… nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

[41] Circ. 21 giugno 2011, n. 28/E, punto 2.1 (in Boll. Trib., 2011, 1025): “Ai sensi dell’art. 10, n. 8-ter), del D.P.R. n. 633 del 1972, sono esenti dall’imposta “le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, escluse: a) quelle effettuate, entro quattro anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento, dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 31, primo comma, lett. c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457; … d) quelle per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione”. Come si evince dalla lettera della norma, il regime di tassazione ai fini IVA è strettamente correlato alla natura oggettiva del bene ceduto, vale a dire allo stato di fatto e di diritto dello stesso all’atto della cessione, prescindendo quindi dalla destinazione del bene da parte dell’acquirente. Tanto premesso, riguardo alla fattispecie prospettata, si esprime l’avviso che la stessa debba essere trattata alla stregua di una cessione di “immobile strumentale”, ragion per cui si applica il regime di esenzione, salvo il caso di cessione operata dal soggetto che ha eseguito la costruzione o la ristrutturazione del medesimo immobile, entro il quarto anno dal compimento di tali opere, nonché il caso di opzione per il regime di imponibilità operato dal cedente nell’atto di cessione (in tale secondo caso la fatturazione èoperata con ilmeccanismo dell’inversione contabile ai sensi dell’art. 17, sesto comma, lett. a-bis),del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). Di segno opposto un’immediatamente precedente risposta del 16 febbraio 2011 (n. 5-04214), resa in Commissione Finanze della Camera a un’interrogazione parlamentare, a conferma della ris. 22 ottobre 2008, n. 395/E (in Boll. Trib. On-line), commentata da A. Albano-P. Stellacci, Profili interpretativi in materia di cessione di fabbricati da demolire che insistono su area edificabile, in il fisco, 2011, 2675.

[42] Da ricordare però anche Cass., sez. trib., 18 settembre 2009, n. 20097, in Boll. Trib., 2010, 809, con nota di E. Righi, Anche per l’imposta di registro la nozione di ”area edificabile” è, in via interpretativa, quella introdotta dall’art. 36 del D.L. n. 223/2006,secondo la quale: “Agli effetti dell’art. 4, terzo comma, lett. c), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, la possibilità di rilascio immediato di provvedimenti che consentano l’utilizzazione edilizia di un terreno, peraltro successivamente adottati dai competenti organi del Comune, fa sì che l’area, inizialmente destinata a verde pubblico, debba considerarsi edificabile, sia pure con riferimento ad interventi di natura particolare come gli impianti di distribuzione di carburanti, con l’ulteriore conseguenza che la sua cessione è soggetta ad IVA e, conseguentemente, non soggetta ad imposta proporzionale di registro, ai sensi dell’art. 40 del D.P.R 26/4/1986, n.131”.

[43] Cfr. Cass., sez. VI, 4 agosto 2016, ord. n. 16382; Cass., sez. VI, 13 giugno 2016, ord. n. 12062; Cass., sez. trib., 21 aprile 2017, n. 10113; e Cass., sez. VI, 9 gennaio 2018, ord. n. 313, tutte in Boll. Trib. On-line.

[44] Cfr. Cass., sez. trib., 22 luglio 2016, n. 15175, in Boll. Trib. On-line.

[45] Conseguenti rischi anche ex artt. 2112 e 2560 c.c.? E anche di responsabilità solidale ex art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997?

[46] Rischi potenziali non solo per il cedente ma anche per il cessionario.

[47] Tutto muoveda Cass., sez. trib., 20 maggio 2009, ord. n. 11666, seguita da Cass., sez. VI, 2 dicembre 2015, ord. n. 24594; Cass., sez. trib., 29 aprile 2016, n. 8542; e Cass., sez. trib., 12 maggio 2017, n. 11877, tutte in Boll. Trib. On-line.

[48] Se vale per il 100% del capitale sociale perché non vale per quote inferiori, con introduzione di una sorta di comunione di azienda? Trattasi ovviamente di paradosso! Se i cedenti il 100% sono due o più si deve ritenere che prima sussistesse una comunione d’azienda? Oppure (ulteriore paradosso) una società di fatto fra due comproprietari di un’azienda e non soci della stessa società?

[49] Da sottolineare la pericolosità delle usuali clausole, nei contratti di cessione di quote, di rispondenza per sopravvenienze passive e insussistenza di attivo, e di quelle di parametrazione di corrispettivo ai successivi risultati, che sono utilizzate dal “fisco” per operare la riqualificazione.

[50] In senso opposto (e quindi, allora, pro-contribuenti), taluna prassi della stessa Amministrazione finanziaria: ris. 28 marzo 1983, n. 251368, in Boll. Trib., 1983, 687, e ris. 5 giugno 1989, n. 310356, ivi, 1989, 1348; inoltre la relazione accompagnatoria al D.Lgs. n. 358/1997, che introdusse l’art. 37-bisdel D.P.R. n. 600/1973.

[51] La “provocazione” di taluna dottrina (ved. G. Guarnerio, Contratto di cessione d’azienda: si applica l’imposta proporzionale di registro?, in il fisco, 2017, 1031): se cessione 100% quote = cessione di azienda, la cessione d’azienda è da tassare a tassa fissa, e non la cessione quote in base a imposta proporzionale!

[52] Tale interpello prevede il c.d. “silenzio assenso”, in caso di mancata risposta da parte dell’Agenzia delle entrate, entro 120 giorni dalla data di presentazione dell’istanza.

[53] Tale forma di interpello è utilizzabile ove vi siano dubbi sull’applicazione della norma al caso specifico, più che dubbi sull’interpretazione della norma stessa, con un termine più breve di “silenzio assenso”: 90 giorni.

[54] La circ. 1° aprile 2016, n. 9/E (in Boll Trib., 2016, 505), prevede esplicitamente la possibilità di conoscere il pensiero della stessa Agenzia delle entrate sulla qualificazione oggettiva di un complesso di beni: “… la valutazione della sussistenza di un’azienda …”.

[55] Ancora cfr. circ. n. 9/E/2016, cit.

[56] Cfr. Cass., sez. trib., 27 agosto 2001, n. 11274, in Boll. Trib., 2001, 1510.

[57] Ved. E. Jammarino, Commento alla legge sulle imposte di registro, Torino, 1959, 30: “Il 1° comma dell’art. 8, trasporta, nel campo tributario, la regola della interpretazione della volontà contrattuale, già accolta, nel campo civilistico, dall’art. 1131 c.c. 1865, corrispondente all’art. 1362 del codice vigente, secondo cui: “nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”. E’ l’applicazione dei noti principii accolti dal diritto romano, nel senso che non quod scriptum, sed quod gestum inspicitur, ossia: in conventionibus contrahentium voluntatem potius quam verba spectari placuit, che equivale, in sostanza, al criterio adottato dal legislatore nella formulazione di questo articolo; in forza del quale, per la tassazione degli atti o dei trasferimenti, occorre indagarne la natura intrinseca e gli effetti che da essi scaturiscono, anche se a tale natura e a tali effetti non corrisponda il titolo o la forma apparente datavi dalle parti contraenti (cioè, usando accorgimenti diretti ad eludere le più gravose tassazioni). Al riguardo la Suprema Corte così commenta: “se per forma apparente, deve intendersi non soltanto una regolamentazione per avventura fittizia esimulatoria, ma in genere ogni regolamentazione specifica che le parti conferiscono al negozio, per adattarlo alle loro esigenze, deve dedursene che la intrinseca natura degli atti o dei trasferimenti e gli effetti degli atti stessi, vanno ricercati principalmente non già nella volontà delle parti manifestata attraverso detta regolamentazione, ma nel carattere della prestazione che costituisce l’oggetto del negozio, e che ne rispecchia la funzione economica. Il che risponde al fondamento teorico della tassa di registro, poiché è ovvio che questa, costituendo una forma d’imposta indiretta sulla circolazione della ricchezza, attribuisce prevalente rilievo alla funzione economica degli atti negoziali, rispetto alla veste varia ed, entro certi limiti, arbitraria, che essi possono assumere, per operare nell’ordinamento giuridico in maniera conforme al vario interesse delle parti”.

[58] Ovviamente in presenza di preminenti ragioni economiche, ottenibili per il tramite di operazioni alternative, comportanti un diverso gravame.


A cura di Emilio Abruzzese